lunedì 26 maggio 2008

Sfogo

Sottopagati a 4 euro l’ora. Costretti a ingiurie e rifiuti continui. Privi di qualunque potere o autorità, ma nello stesso tempo obbligati a far rispettare delle regole. Non è la condizione lavorativa estratta da qualche testo dell’ortodossia marxista, bensì la figura dello steward.
La ACF Fiorentina ha organizzato un corso per la nostra “formazione professionale”: ci hanno insegnato ad essere inflessibili nel controllo di documenti e titoli di accesso; in realtà poi si finisce per essere dei ridicoli gendarmi verso famiglie e anziani appassionati di calcio, e controllori impotenti di fronte ai soggetti potenzialmente pericolosi, da cui in mezzo a schiamazzi si ricevono insulti e musi duri, se non minacce o spintonate. Controbattere? Ma scherziamo, uno steward che replica al tifoso di rispettare un regolamento che egli stesso al momento dell’acquisto si è impegnato ad accettare (come ci ha ben insegnato l’avvocato), che oscenità! E se poi calpestano la tua dignità di individuo chi se ne frega, tanto l’importante è fare cassa.

Ma qualcosa sta cambiando. Fino ad ora la maggior parte del personale era composta da pensionati senza orgoglio e troppe pretese, affezionati a tanti anni di servizio. Adesso l’età limite di 55 anni ha creato un problema notevole alla società calcistica. Gente che studia, lavora, ha una famiglia è disposta ad essere trattata in questo modo? Spira un generale malcontento, si può percepire, ma molti si adattano a proseguire a testa bassa perché hanno paura di perdere l’opportunità di seguire la loro squadra del cuore. Bisogna cambiare mentalità, capire che è la società ad aver bisogno di noi, e non il contrario (non certo si può pensare di campare con 20 € a partita): è stato fissato per legge un numero minimo di steward per evento sportivo; altrimenti lo stadio non apre, e allora sai che disastro economico e di immagine…
Credo quindi che la ACF Fiorentina debba agli steward più rispetto e considerazione per il lavoro che svolgono, forse materialmente non faticoso, ma di una pesantezza psicologica impressionante.
Infine complimenti a Prandelli, il calcio italiano gli deve moltissimo: con la sua professionalità e personalità straordinaria ha mostrato a tutti il lato spontaneo, genuino, pulito di questo sport e così ha incantato una città intera. È lui l’unico vero artefice del momento magico che sta vivendo la Fiorentina.

giovedì 15 maggio 2008

Una scelta radicale

Trovo estremamente interessante la triade stupore, coraggio, perseveranza. Ma io aggiungerei un altro elemento necessario a completare questo quadro combattivo: è solo un principio di rottura che ci può permettere di compiere il vero salto quantico.
Evviva Linux certo: ma chi può conoscere la sua difficoltà nel lasciare un istituto di ricerca così avanzato e prestigioso in nome di un'idea, di un progetto incompiuto?
Allo stesso modo ogni persona che vuole lasciare una traccia del proprio cammino, o semplicemente essere coerente con sé stesso deve compiere una metanoia, il proprio parto intellettuale: è inutile stupirsi, se poi non tentiamo di tradurre il sentimento in un principio di realtà. Deve mettere in pratica la maieutica verso sé stesso. Questa esplorazione può essere fatale, tutto per tutto è in gioco, siamo di fronte agli abissi della nostra coscienza umana. E poi? Pensiero e azione, come diceva Mazzini. Inutile dire che la storia ci ha messo in guardia da movimenti di liberazione di massa, dove tutti sono uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri. Inutile dire che il più grande rivoluzionario della storia è stato Gesù Cristo.
Mi ha sempre colpito la risposta di Gesù al ricco sempre osservante che gli chiedeva cos’altro dovesse fare: “Bene, ora lascia tutti i tuoi averi e seguimi.”
La vera sfida risiede nel fatto che la scintilla iniziale è un salto nel buio in solitudine, senza agganci, a tu per tu con la paura.
Così fece un ragazzo, figlio di una ricca famiglia di mercanti che dopo aver visto la sofferenza negli occhi di un lebbroso decise di rinunciare all’eredità paterna, vestirsi di un sacco e andare in giro a predicare il valore della povertà: era San Francesco d’Assisi, fondatore
dell’ Ordine e patrono d’Italia.
Così fece un giovane avvocato laureato a Londra, che ritornò al suo paese, lasciò il suo sapere, e andò in mezzo ai più piccoli, più deboli del suo popolo: si chiamava Mahatma Gandhi, realizzò l’indipendenza dell’India dall’impero inglese.
La storia ci ha regalato personaggi di cotanto spessore: che il loro esempio illumini la nostra via.

Un'etica della pietà?

La conferenza I have a dream ha cercato di dare indirettamente una risposta alla questione posta da LeFever proponendo un modello progettuale della didattica ben specifico: gli studenti diventano protagonisti attivi del sistema di insegnamento, in un profondo senso di collaborazione reciproca con il professore. Mi ha colpito a tal proposito il riferimento ad un professore medievale che diceva “praesum atque subsum”: egli ovviamente guida e dirige gli alunni, ma nello stesso tempo la sua affermazione professionale, la sua qualità di insegnamento dipende in primo luogo dal gradimento e soprattutto dal successo dei suoi studenti. Questo principio non va dimenticato.
Basta però una semplice ma fondamentale rotella a distruggere un ingranaggio così magnifico. È solo la pura passione, che non trova altro fine se non interno a sé, che può spingere lo studente a interrogarsi, a intraprendere un dialogo costruttivo con il docente destinato a colmare il genio del dubbio. Il quesito è finalizzato a un profitto, a un risultato, tutto è sacrificato in nome della dea competizione: allora il sipario è già calato prima ancora che lo spettacolo abbia avuto inizio. Se invece prevarrà l’amore disinteressato verso il sapere, come il gioco spontaneo di un bambino, allora il miracolo sarà già avvenuto.
Il punto di fuga dell’intera conversazione, come per le linee prospettiche di un quadro rinascimentale convergenti all’infinito, si rivela nel rapporto fra medico e paziente. Dal racconto personale del professore sulla presunta diagnosi di cancro Schopenauer ci viene a far l’occhiolino: solo se riconosce e vede sé stesso nella sofferenza del suo paziente (in quanto anch’egli essere capace potenzialmente di soffrire a quel modo), il medico può realizzarsi ed essere all’altezza del compito, altrimenti è destinato a naufragare nel mare della mediocrità. Se interiorizza il principio della filosofia buddista “Tat twan asi”, e compatendo il paziente lo guarda con gli occhi dell’agape greco o carità cristiana, allora il mondo riceverà un nuovo spiraglio di luce. L’amore non deve spostare montagne, ma cambiare le nostre coscienze.

"Ma permetti: se tu non possiedi nulla cosa vuoi dare?"
"Ognuno dà di quel che ha. Il guerriero dà la forza, il mercante la merce, il saggio la saggezza, il contadino riso, il pescatore pesci."
"Benissimo. E cos'è dunque che tu hai da dare? Che cosa hai appreso, che sai fare?"
"Io so pensare. So aspettare. So digiunare."
"E questo è tutto?"
"Credo che sia tutto."