giovedì 3 settembre 2009

Vittoria!

"He falls at last, and he rises as a king". è un pensiero di Victor Hugo che ho trovato scritto sull'ultima pagina di una vecchia edizione (non ricordo bene quale) degli studi trascendentali di Liszt. Detto così non ha più senso degli scialbi messaggini confezionati insieme ai baci perugina. L'esperienza vissuta oggi non solo ha riportato a riva questo relitto della memoria, ma mi ha fornito una chiave di interpretazione, un grimaldello per la sua immediata comprensione. Un altro importante flash di oggi è stato il ricordo della sfida epocale fra Cassius Clay e Foreman nello Zaire. Lo scontro fu memorabile: Foreman picchiò duro fin dall'inizio, senza lasciare tregua fra un colpo e l'altro. L'avversario, dal canto suo, giocò d'astuzia: adagiato contro l'elasticità delle corde del ring incassò i pugni uno ad uno senza reagire per otto round, e aspettò che la furia rabbiosa dell'altro si placasse. Fu allora, quando Foreman fu sfiancato dalla sua stessa veemenza, che Clay passò al contrattacco e con il ruggito del leone ferito diede una serie di zampate micidiali che misero al tappeto l'avversario.
Sono due lacerti di memoria, profondamente diversi (un match di pugilato, un pensiero di un libro), ma accumunati da un viscerale, inestinguibile desiderio di rivalsa. Una voglia di rivincita esacerbata da delusioni e dolori, stillante da ogni goccia del tuo sangue, pulsante a ritmo forsennato, come un toro furioso ferito dal matadores. Scientificamente può essere definita come la componente affettiva, la forza psichica, capace di modulare e attutire il dolore, fino a quasi renderlo impercettebile. Altrimenti come avrebbe potuto fare Clay a muovere così potentemente i suoi muscoli dopo le percosse ricevute? Oppure come spiegare la regale resurrezione dell'anonimo personaggio di Hugo dopo la sua caduta?
Si tratta probabilmente di una componente istintuale che, se evocata, diventa micidiale.
In questi termini, anche se molto più modestamente, credo di poter inquadrare il mio successo di stamattina. Dopo essere stato rimandato a settembre all'esame di solfeggio, non mi sono perso d'animo. Con un sussulto di orgoglio ho continuato il mio studio del dettato musicale e finalmente oggi sono stato premiato conseguendo il diploma di maestro di solfeggio. Ho sconfitto la mia bestia nera, e ho chiuso i conti col mio destino. Almeno per ora.

lunedì 7 luglio 2008

Valutazione finale

Molti storici paragonano l'ascesa di Napoleone a una meteora che si abbatte sull'Europa. Ad impressionare non è solo l'abilità, ma anche la velocità con cui continua a conquistare. Solo le forze della Natura, capitanate dal generale Inverno, riusciranno a sconfiggerlo ma questa è un'altra storia...
Il popolo francese e l’esercito lo adorano. Tanto che dopo la fuga dall’Elba, superate le Alpi ad aspettarlo trova l’esercito mandato dal nuovo re: basta uno sguardo, un discorso ai suoi vecchi uomini e Napoleone marcia disarmato verso Parigi a capo dell’esercito, mentre il re è costretto a fuggire. Così anche gli intellettuali di mezza Europa sono incantati dal grande stratega. Foscolo ravvisa in lui il più vivo segno di speranza per la liberazione dell’Italia e concretizza questo sentimento nell’ode Napoleone liberatore. Questi sentimenti sono poi sostituiti da delusione e sdegno all’indomani del Trattato di Campoformio il 17 ottobre del 1797.
Beethoven compone la sinfonia detta Eroica dedicata alla sua figura che nell’opera assume quasi un significato epico, come si vede soprattutto dalla Marcia Funebre. La dedica poi viene ritirata dopo l’auto-incoronazione a Imperatore il 2 dicembre dello stesso anno nella cattedrale di Notre Dame.
Dopo la sconfitta di Jena, Hegel scrive la famosa lettera in cui parla di Napoleone come l’incarnazione dello spirito del mondo:
“Ho visto l'Imperatore - quest'anima del mondo - cavalcare attraverso la città per andare in ricognizione: è davvero un sentimento meraviglioso la vista di un tale individuo che, concentrato qui in un punto, seduto su di un cavallo, abbraccia il mondo e lo domina”.
Poi, inevitabilmente, la ragion di Stato e le bramosie di potere faranno decadere tutti gli aneliti in lui riposti prima e poi lo condurranno alla sconfitta.

Una simile speranza di rinnovamento del sistema universitario italiano mi ha colto nel frequentare il corso di informatica, così l’ho paragonato ad una meteora.Mi ha veramente sorpreso questa attenzione non tanto ai contenuti della materia quanto al metodo migliore perché sia il più possibile comprensibile allo studente, e non un puro giochetto accademico autoreferenziale, come troppo spesso succede ( e poi i risultati sono quelli che sono…).
Questo corso è stato veramente uno schiaffo all’indifferenza, al nepotismo, al favoritismo e a tutto il marcio che esiste nell’istruzione universitaria italiana.

Ho fede che tutto non si dissolva in una bolla di sapone, con la stessa velocità con cui questa avventura è maturata, come invece purtroppo è accaduto per l’esperienza napoleonica.

martedì 3 giugno 2008

Suonare

Socrate diceva che non si è uomini di fatto, e forse non aveva tutti i torti: l'uomo è tale in quanto cerca il bene, o la verità, che coincide inevitabilmente nella ricerca infinita e per sua definizione interminabile (Socrate a tal proposito dice all'oracolo di Delfi: "solo una cosa so, di non sapere". Inutile dire che non esiste niente di bene di per sé, se non la volontà buona, a detta di Kant, concetto quanto mai astratto. Aristotele ha poi rincarato la dose con lo straordinario ossimoro "animale razionale" che riassume tutta la complessità del genere umano.
Il punto è, esiste un modo per congiungere la materia e il pensiero? Il personaggio di Marcel Proust mangiando le sue maddalenine, riusciva a compiere un’operazione puramente intellettuale, non semplicemente ricordando ma rivivendo quegli attimi della sua infanzia.
Molto più modestamente ritengo che la musica riesca a generare un evento di questa portata. Solo chi suona uno strumento può sapere quanto siano importanti gli esercizi di tecnica: è una lotta a coltello con la materia, a volte tragica e dolorosa. La mano di un pianista punta a pose sempre più ambiziose, a un tocco mai forzato.
È ovvio che l’esercizio è finalizzato poi all’esecuzione di brani musicali veri e propri: la rigida compostezza e il costume geometrico di Bach (il vero Spinoza del mondo musicale), la passione che incatena di Chopin (innamorato pazzo di Sand fino alla morte), il gioco divertito con punte pietose di Mozart…
Al momento dell’esecuzione, esisti solo tu e il pianoforte, e puoi percepire soltanto il battito affannoso del cuore. E poi ci sono le tue mani; le vedi lì sole, maestose e scintillanti giocare con lo strumento come fosse uno specchio, beandosi della loro potenza. Se ben addestrate, possono trasformare una serie di note scritte su un pezzo di carta in un pensiero, un’immagine, una poesia. Mi dispiace, ma non credo come Schopenauer che la musica esprime solo il corso indecifrabile dell’eterna indistruttibile volontà: in quella tonalità, in quel ritmo, ogni autore ha lasciato una parte di sé stesso.


lunedì 26 maggio 2008

Sfogo

Sottopagati a 4 euro l’ora. Costretti a ingiurie e rifiuti continui. Privi di qualunque potere o autorità, ma nello stesso tempo obbligati a far rispettare delle regole. Non è la condizione lavorativa estratta da qualche testo dell’ortodossia marxista, bensì la figura dello steward.
La ACF Fiorentina ha organizzato un corso per la nostra “formazione professionale”: ci hanno insegnato ad essere inflessibili nel controllo di documenti e titoli di accesso; in realtà poi si finisce per essere dei ridicoli gendarmi verso famiglie e anziani appassionati di calcio, e controllori impotenti di fronte ai soggetti potenzialmente pericolosi, da cui in mezzo a schiamazzi si ricevono insulti e musi duri, se non minacce o spintonate. Controbattere? Ma scherziamo, uno steward che replica al tifoso di rispettare un regolamento che egli stesso al momento dell’acquisto si è impegnato ad accettare (come ci ha ben insegnato l’avvocato), che oscenità! E se poi calpestano la tua dignità di individuo chi se ne frega, tanto l’importante è fare cassa.

Ma qualcosa sta cambiando. Fino ad ora la maggior parte del personale era composta da pensionati senza orgoglio e troppe pretese, affezionati a tanti anni di servizio. Adesso l’età limite di 55 anni ha creato un problema notevole alla società calcistica. Gente che studia, lavora, ha una famiglia è disposta ad essere trattata in questo modo? Spira un generale malcontento, si può percepire, ma molti si adattano a proseguire a testa bassa perché hanno paura di perdere l’opportunità di seguire la loro squadra del cuore. Bisogna cambiare mentalità, capire che è la società ad aver bisogno di noi, e non il contrario (non certo si può pensare di campare con 20 € a partita): è stato fissato per legge un numero minimo di steward per evento sportivo; altrimenti lo stadio non apre, e allora sai che disastro economico e di immagine…
Credo quindi che la ACF Fiorentina debba agli steward più rispetto e considerazione per il lavoro che svolgono, forse materialmente non faticoso, ma di una pesantezza psicologica impressionante.
Infine complimenti a Prandelli, il calcio italiano gli deve moltissimo: con la sua professionalità e personalità straordinaria ha mostrato a tutti il lato spontaneo, genuino, pulito di questo sport e così ha incantato una città intera. È lui l’unico vero artefice del momento magico che sta vivendo la Fiorentina.

giovedì 15 maggio 2008

Una scelta radicale

Trovo estremamente interessante la triade stupore, coraggio, perseveranza. Ma io aggiungerei un altro elemento necessario a completare questo quadro combattivo: è solo un principio di rottura che ci può permettere di compiere il vero salto quantico.
Evviva Linux certo: ma chi può conoscere la sua difficoltà nel lasciare un istituto di ricerca così avanzato e prestigioso in nome di un'idea, di un progetto incompiuto?
Allo stesso modo ogni persona che vuole lasciare una traccia del proprio cammino, o semplicemente essere coerente con sé stesso deve compiere una metanoia, il proprio parto intellettuale: è inutile stupirsi, se poi non tentiamo di tradurre il sentimento in un principio di realtà. Deve mettere in pratica la maieutica verso sé stesso. Questa esplorazione può essere fatale, tutto per tutto è in gioco, siamo di fronte agli abissi della nostra coscienza umana. E poi? Pensiero e azione, come diceva Mazzini. Inutile dire che la storia ci ha messo in guardia da movimenti di liberazione di massa, dove tutti sono uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri. Inutile dire che il più grande rivoluzionario della storia è stato Gesù Cristo.
Mi ha sempre colpito la risposta di Gesù al ricco sempre osservante che gli chiedeva cos’altro dovesse fare: “Bene, ora lascia tutti i tuoi averi e seguimi.”
La vera sfida risiede nel fatto che la scintilla iniziale è un salto nel buio in solitudine, senza agganci, a tu per tu con la paura.
Così fece un ragazzo, figlio di una ricca famiglia di mercanti che dopo aver visto la sofferenza negli occhi di un lebbroso decise di rinunciare all’eredità paterna, vestirsi di un sacco e andare in giro a predicare il valore della povertà: era San Francesco d’Assisi, fondatore
dell’ Ordine e patrono d’Italia.
Così fece un giovane avvocato laureato a Londra, che ritornò al suo paese, lasciò il suo sapere, e andò in mezzo ai più piccoli, più deboli del suo popolo: si chiamava Mahatma Gandhi, realizzò l’indipendenza dell’India dall’impero inglese.
La storia ci ha regalato personaggi di cotanto spessore: che il loro esempio illumini la nostra via.

Un'etica della pietà?

La conferenza I have a dream ha cercato di dare indirettamente una risposta alla questione posta da LeFever proponendo un modello progettuale della didattica ben specifico: gli studenti diventano protagonisti attivi del sistema di insegnamento, in un profondo senso di collaborazione reciproca con il professore. Mi ha colpito a tal proposito il riferimento ad un professore medievale che diceva “praesum atque subsum”: egli ovviamente guida e dirige gli alunni, ma nello stesso tempo la sua affermazione professionale, la sua qualità di insegnamento dipende in primo luogo dal gradimento e soprattutto dal successo dei suoi studenti. Questo principio non va dimenticato.
Basta però una semplice ma fondamentale rotella a distruggere un ingranaggio così magnifico. È solo la pura passione, che non trova altro fine se non interno a sé, che può spingere lo studente a interrogarsi, a intraprendere un dialogo costruttivo con il docente destinato a colmare il genio del dubbio. Il quesito è finalizzato a un profitto, a un risultato, tutto è sacrificato in nome della dea competizione: allora il sipario è già calato prima ancora che lo spettacolo abbia avuto inizio. Se invece prevarrà l’amore disinteressato verso il sapere, come il gioco spontaneo di un bambino, allora il miracolo sarà già avvenuto.
Il punto di fuga dell’intera conversazione, come per le linee prospettiche di un quadro rinascimentale convergenti all’infinito, si rivela nel rapporto fra medico e paziente. Dal racconto personale del professore sulla presunta diagnosi di cancro Schopenauer ci viene a far l’occhiolino: solo se riconosce e vede sé stesso nella sofferenza del suo paziente (in quanto anch’egli essere capace potenzialmente di soffrire a quel modo), il medico può realizzarsi ed essere all’altezza del compito, altrimenti è destinato a naufragare nel mare della mediocrità. Se interiorizza il principio della filosofia buddista “Tat twan asi”, e compatendo il paziente lo guarda con gli occhi dell’agape greco o carità cristiana, allora il mondo riceverà un nuovo spiraglio di luce. L’amore non deve spostare montagne, ma cambiare le nostre coscienze.

sabato 26 aprile 2008

Il piacere della scoperta

Non amo la scrittura impulsiva, dettata dal genio di un ispirazione momentanea, quasi divina. Mi affascina il labor limae oraziano, la ricerca dantesca continua e arrovellata delle parole, per giungere finalmente alla stesura di un testo che non può e non deve essere diverso da quello che è. Ciononostante, prevalentemente per motivi mnemonici ho deciso di rivelare subito la mia esperienza appena trascorsa: i pensieri sono insidiosi, possono diventare pesanti come macigni o sfuggevoli come sogni di farfalle. Nessuna gabbia può rinchiuderli, così talora giocano a rincorrersi e a confondersi fra loro. Ti condizionano, ti emozionano, ma non potrai mai liberarti di loro.
In occasione del 25 aprile sono stato a Sant'Anna di Stazzema, nel versiliese, luogo di un'orrendo eccidio perpetrato dai criminali nazifascisti (560 morti). Se ti accosti al suolo di quelle terre, puoi sentire ancora il grido straziato del sangue delle vittime che risuona, che rimbomba facendo eco sulle montagne.
Non è stato soltanto un viaggio commemorativo, ma un'autentica avventura spirituale dentro la forza magica della natura selvaggia. Attraverso asperosi e disagevoli sentieri, abbiamo risalito le pendici delle apuane fino a un punto. Il gruppo si è fermato, stanco e appagato. Non fu così per tutti: io e altri due volevamo andare oltre. Saliti sul ciglio di un'altura, cominciai a guardarmi intorno: la natura, nella sua maestosità, mi invitava a contemplarla. D'improvviso mi chiesi: ero io a dominarla da lassù, o era invece lei che mi trascinava, o meglio incombeva su di me? Avevo vissuto, provato l'idea del sublime: come Kant di fronte al cielo stellato, anch'io ero capace di elevarmi con la forza della ragione sopra quelle montagne. L'infinito degli spazi disegnati da quelle rocce mi sgomentava (ricalco Pascal), ma ne ero consapevole, possedevo cioè un'autocoscienza capace di distinguermi da ogni altra meraviglia inanimata creata da Dio.
"Ma permetti: se tu non possiedi nulla cosa vuoi dare?"
"Ognuno dà di quel che ha. Il guerriero dà la forza, il mercante la merce, il saggio la saggezza, il contadino riso, il pescatore pesci."
"Benissimo. E cos'è dunque che tu hai da dare? Che cosa hai appreso, che sai fare?"
"Io so pensare. So aspettare. So digiunare."
"E questo è tutto?"
"Credo che sia tutto."