sabato 26 aprile 2008

Il piacere della scoperta

Non amo la scrittura impulsiva, dettata dal genio di un ispirazione momentanea, quasi divina. Mi affascina il labor limae oraziano, la ricerca dantesca continua e arrovellata delle parole, per giungere finalmente alla stesura di un testo che non può e non deve essere diverso da quello che è. Ciononostante, prevalentemente per motivi mnemonici ho deciso di rivelare subito la mia esperienza appena trascorsa: i pensieri sono insidiosi, possono diventare pesanti come macigni o sfuggevoli come sogni di farfalle. Nessuna gabbia può rinchiuderli, così talora giocano a rincorrersi e a confondersi fra loro. Ti condizionano, ti emozionano, ma non potrai mai liberarti di loro.
In occasione del 25 aprile sono stato a Sant'Anna di Stazzema, nel versiliese, luogo di un'orrendo eccidio perpetrato dai criminali nazifascisti (560 morti). Se ti accosti al suolo di quelle terre, puoi sentire ancora il grido straziato del sangue delle vittime che risuona, che rimbomba facendo eco sulle montagne.
Non è stato soltanto un viaggio commemorativo, ma un'autentica avventura spirituale dentro la forza magica della natura selvaggia. Attraverso asperosi e disagevoli sentieri, abbiamo risalito le pendici delle apuane fino a un punto. Il gruppo si è fermato, stanco e appagato. Non fu così per tutti: io e altri due volevamo andare oltre. Saliti sul ciglio di un'altura, cominciai a guardarmi intorno: la natura, nella sua maestosità, mi invitava a contemplarla. D'improvviso mi chiesi: ero io a dominarla da lassù, o era invece lei che mi trascinava, o meglio incombeva su di me? Avevo vissuto, provato l'idea del sublime: come Kant di fronte al cielo stellato, anch'io ero capace di elevarmi con la forza della ragione sopra quelle montagne. L'infinito degli spazi disegnati da quelle rocce mi sgomentava (ricalco Pascal), ma ne ero consapevole, possedevo cioè un'autocoscienza capace di distinguermi da ogni altra meraviglia inanimata creata da Dio.

martedì 22 aprile 2008

La condivisione, un valore universale.

Credo che il segreto dell'incredibile successo segnato dal seminario I Care risieda in un concetto piuttosto astratto, ma che poi si traduce in scelte di una potenza esplosiva, prorompente. La condivisione è stato il filo conduttore, il segnalibro di tutto l'incontro. A cominciare dalla vita di Don Milani: egli decise di mettere la sua esistenza a disposizione di figli di contadini di Barbiana per dare loro istruzione ed educazione; adesso la maggior parte di questi ragazzi, ora uomini, hanno una consolidata posizione sociale e i suoi metodi di insegnamento, così concreti e propositivi, sono copiati dalle scuole di specializzazione di tutto il mondo. Così anche il dottore deve amare e curare l'umanità e l'individualità del suo paziente, senza ipocrisie o paure.
La rilettura dell'episodio del Vangelo sulla moltiplicazione dei pani e dei pesci è stata una tappa per me illuminante: la comunione fisica e spirituale fra persone è talmente importante da essere scritta nel nostro materiale genetico. Un uomo solo, isolato è destinato inevitabilmente a scomparire (sono perfettamente consapevole che liquidare l'anelito di libera solitudine in queste poche battute sia una violenza intellettuale). Ha dunque ancora un senso giudicare un ragazzo in base alle sue disponibilità economiche, precludendogli o meno l'accesso alle conoscenze? La libera circolazione delle informazioni è ormai diventata una sfida centrale della nostra era: se il sapere diverrà privilegio castale, allora anche il concetto stesso di cultura verrà meno. O
auri sacra fames (o esecrabile sete dell' oro) dice Enea commentando la fine del suo amico Polidoro! Credo che in questo senso Pubmed sia un'iniziativa importante, da coltivare con pazienza e costanza.
E infine lo spettacolo finale, destinato a scimmiottare ironicamente i poteri alti, i santa santorum del sapere medico si è rivelato un'enorme esplosione di passionalità, gioia e vivacità condivisa. La platea di ragazzi ha sorriso, battuto le mani, si è emozionata, arrabbiata, ha camminato, gridato, giocato, in un intenso respiro di coralità.




sabato 12 aprile 2008

Attualizzare è capire!


LeFever pone una problematica che resta una ferita ancora aperta nell'ambito della pedagogia moderna: la creazione di un metodo. La scuola, fin dai suoi gradi più elementari, tende a presentare saperi separati, irreggimentati in compartimenti divisi secondo materie. L'apprendimento diventa un puro esercizio mnemonico, quasi robotico; le conoscenze sono nozioni usa e getta imparate al momento per essere rimpiazzate poco dopo.
Compito specifico della scuola è creare esseri pensanti, non macchine: la nostra mente deve essere educata a un concetto unitario e non settoriale della conoscenza. Terenzio, commediografo latino del III sec. a.C., scrive: “Sono un uomo e tutto ciò che è umano mi riguarda”.
La creazione di un contesto significa in primo luogo una mente che agisce in modo autonomo, attraverso uno sguardo attivo verso il mondo: le conoscenze non sono più un fardello di cui liberarsi il più presto possibile, ma un tesoro da arricchire in ogni esperienza quotidiana.
Anche matematica e fisica sono coinvolte in questo processo di condensazione del sapere: già Cartesio ebbe l'intuizione di capire i risvolti geometrici che una relazione matematica può avere. L’acquisizione di un linguaggio matematico è pertanto l'unica possibilità per non naufragare nel mare di formule che ci vengono propinate.

Conteggio parole: 200

mercoledì 9 aprile 2008

Un nuovo vaccino contro la malaria?

Pochi sanno che la malaria è la malattia che causa più morti in Africa. Certo, pare che sotto il nostro (bel?) cielo d'occidente l'affare non ci riguardi, nessuno muore di malaria; credo invece che, anche alla luce dell'insegnamento di Don Milani, sia diritto/dovere di ognuno, soprattutto poi se studente di medicina, affrontare queste problematiche. Si sa talmente poco dell'Africa che se ne parla come se fosse un unico grande Stato.
Il mio primo impatto con Pubmed è stato piuttosto difficoltoso, soprattutto a causa dell'uso esclusivo della lingua inglese. Mi sono fatto coraggio e con un po' di fatica ho capito il meccanismo di ricerca: dovevo porre dei "limits", altrimenti sarei affondato in un mare di pubblicazioni. Ho così scelto tra gli articoli più recenti che riguardassero la sperimentazione di vaccini su bambini africani.
L'età infantile è la più colpita dal Plasmodium falciparum; in particolare uno studio condotto su alcuni bambini del Kenya ha dimostrato in sostanza che i loro anticorpi contro la malaria dopo aver riconosciuto l'antigene sono efficaci solo per un breve periodo di tempo.
La sfida degli scienziati di oggi, industrie farmaceutiche permettendo, consiste nella progettazione di un vaccino in grado di allungare l'emivita di questi anticorpi.

Conteggio parole:199




venerdì 4 aprile 2008

L'infanzia

Recentemente, così per caso scartabellando fra i miei libri, mi è capitato fra le mani il testo Le petit prince (Il piccolo principe) pubblicato a New York nel 1943. L'autore, il nobile francese Antoine de Saint-Exupery, è stato un grandissimo aviatore civile e militare. Grazie alla sua abilità a 26 anni diventa il pilota di linea della mitica compagnia Latecoere, l'antenata dell'Air France che assicurava il primo collegamento postale aereo da Tolosa a Dakar. Allo scoppio della seconda guerra mondiale riesce a farsi arruolare nell'areonautica militare; compie diverse imprese pericolose prima di essere abbattuto, nel luglio del 1944, da un aereo tedesco al largo delle coste della Corsica (per ulteriori dettagli autobiografici ho fatto il link).
Questo libro, peraltro molto noto, viene spesso letto in età infantile: l'immagine di questo ragazzino dai capelli d'oro, misterioso e vago, venuto da chissà dove nello spazio, incanta e affascina i bambini. Così, a 19 anni compiuti, ho deciso di rileggerlo. Mi ha sconvolto come, con un impianto narrativo apparentemente semplice e puerile (niente di più fallace!), l'autore riesca a tracciare un quadro tanto esaustivo quanto moderno sull'esistenza umana. La figura del principe innanzitutto: egli continuamente nel suo viaggio, dopo aver lasciato il pianeta d'origine, in ogni posto che va interroga i personaggi che incontra e non smette mai di fare una domanda se non prima ha ottenuto una risposta. Da un lato quindi emerge il paradigma della curiositas umana, esemplificato dal polutropos Ulisse nell'Odissea; d'altro canto questa insistenza nel conoscere la risposta di un quesito è segno inestinguibile del sacro culto della verità a cui lo stesso Nietzche, contro tutti e tutto ciò che rappresentava la tradizione, dice di avere attinto.
Il piccolo principe è capace di guardare il mondo con disincanto, senza gli idola baconiani che affliggono i personaggi da lui incontrati: egli, di fronte alla frenesia e ai grandi progetti degli adulti, contrappone l' inestenguibile amore per la sua rosa o l'amicizia con una volpe, segno del mistero che si cela nel piccolo, nel banale. Già il poeta romantico inglese William Blake nella sua poesia Infant joy aveva sperimentato la "sacralità" del pensiero del bambino. D'altronde credo che la filosofia agisca allo stesso modo: la difficoltà vera sta nello spiegare termini come cosa, fatto; filosofare significa in primo luogo, e Spinoza lo sapeva benissimo, indagare con gli occhi della mente senza paura,come un bambino che sa che "l'essenziale è invisibile agli occhi".
La fine del protagonista, così chiara e misteriosa al tempo stesso, diventa il simbolo di un'infanzia fuggita via troppo presto per non lasciare rimpianti: ad un tratto sparisce, così senza preavviso, e arriva il mondo degli adulti, dove tutto deve avere un senso, deve essere capito.
"Ma permetti: se tu non possiedi nulla cosa vuoi dare?"
"Ognuno dà di quel che ha. Il guerriero dà la forza, il mercante la merce, il saggio la saggezza, il contadino riso, il pescatore pesci."
"Benissimo. E cos'è dunque che tu hai da dare? Che cosa hai appreso, che sai fare?"
"Io so pensare. So aspettare. So digiunare."
"E questo è tutto?"
"Credo che sia tutto."