La conferenza I have a dream ha cercato di dare indirettamente una risposta alla questione posta da LeFever proponendo un modello progettuale della didattica ben specifico: gli studenti diventano protagonisti attivi del sistema di insegnamento, in un profondo senso di collaborazione reciproca con il professore. Mi ha colpito a tal proposito il riferimento ad un professore medievale che diceva “praesum atque subsum”: egli ovviamente guida e dirige gli alunni, ma nello stesso tempo la sua affermazione professionale, la sua qualità di insegnamento dipende in primo luogo dal gradimento e soprattutto dal successo dei suoi studenti. Questo principio non va dimenticato.
Basta però una semplice ma fondamentale rotella a distruggere un ingranaggio così magnifico. È solo la pura passione, che non trova altro fine se non interno a sé, che può spingere lo studente a interrogarsi, a intraprendere un dialogo costruttivo con il docente destinato a colmare il genio del dubbio. Il quesito è finalizzato a un profitto, a un risultato, tutto è sacrificato in nome della dea competizione: allora il sipario è già calato prima ancora che lo spettacolo abbia avuto inizio. Se invece prevarrà l’amore disinteressato verso il sapere, come il gioco spontaneo di un bambino, allora il miracolo sarà già avvenuto.
Il punto di fuga dell’intera conversazione, come per le linee prospettiche di un quadro rinascimentale convergenti all’infinito, si rivela nel rapporto fra medico e paziente. Dal racconto personale del professore sulla presunta diagnosi di cancro Schopenauer ci viene a far l’occhiolino: solo se riconosce e vede sé stesso nella sofferenza del suo paziente (in quanto anch’egli essere capace potenzialmente di soffrire a quel modo), il medico può realizzarsi ed essere all’altezza del compito, altrimenti è destinato a naufragare nel mare della mediocrità. Se interiorizza il principio della filosofia buddista “Tat twan asi”, e compatendo il paziente lo guarda con gli occhi dell’agape greco o carità cristiana, allora il mondo riceverà un nuovo spiraglio di luce. L’amore non deve spostare montagne, ma cambiare le nostre coscienze.
giovedì 15 maggio 2008
Un'etica della pietà?
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"Ma permetti: se tu non possiedi nulla cosa vuoi dare?"
"Ognuno dà di quel che ha. Il guerriero dà la forza, il mercante la merce, il saggio la saggezza, il contadino riso, il pescatore pesci."
"Benissimo. E cos'è dunque che tu hai da dare? Che cosa hai appreso, che sai fare?"
"Io so pensare. So aspettare. So digiunare."
"E questo è tutto?"
"Credo che sia tutto."
1 commento:
"Ben giocata, Vellere!" direbbe qualcuno
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